Corte Costituzionale Ordinanza n° 304 – appellabilita’ – sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equita’ a norma dell’art. 113, comma secondo – 19.12.2012. –

Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Procedimento civile – Appellabilita’ – Sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equita’ a norma dell’art. 113, comma secondo, c.p.c. – Regime introdotto dal decreto legislativo n. 40 del 2006 –  Possibilita’ di appello solo per motivi specifici (c.d. appello a motivi limitati) – Mancata previsione dell’appellabilita’ per i casi che, se ricorrenti per sentenze pronunciate in appello o in unico grado, renderebbero ammissibile la revocazione in base all’art. 395, n. 4, c.p.c. – Contrasto con i canoni di ragionevolezza e di eguaglianza – Asserito difetto di coerenza logico-sistematica tra gli interventi susseguitisi in materia – Asserita violazione della garanzia di tutela giurisdizionale dei diritti e del giusto processo – Asserita violazione del principio secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge – Motivazione apodittica – Questione prospettata al fine improprio di ottenere un avallo interpretativo – Omesso tentativo di ricercare una interpretazione idonea a superare i dubbi di costituzionalita’ – Richiesta di interventi riservati alla discrezionalita’ del legislatore – Manifesta inammissibilita’ della questione. (GU n. 51 del 27-12-2012 ) 

                                                    LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici :Franco GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe  FRIGO,  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,ha pronunciato la seguente ORDINANZA     
nel giudizio di legittimita’  costituzionale  dell’articolo  339, terzo comma, del codice di procedura civile, promosso  dal  Tribunale ordinario di Napoli, in composizione  monocratica,  nel  procedimento
vertente tra C. F. e G. S. ed altri  con  ordinanza  del  30  gennaio 2012, iscritta al n. 164 del registro  ordinanze  2012  e  pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  35,  prima   seriespeciale, dell’anno 2012.    
Visto l’atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri;      
udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2012  il  Giudice relatore Paolo Grossi. 
   
Ritenuto che, nel corso di un giudizio  di  appello  avverso  una sentenza resa dal Giudice di  pace  di  Napoli  in  una  controversia civile di risarcimento  danni  derivanti  da  sinistro  stradale,  il
Tribunale ordinario  di  Napoli,  in  composizione  monocratica,  con ordinanza emessa il 30 gennaio 2012, ha sollevato    in  riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, primo comma,  101,  secondo  comma,111,  primo  comma,  e   117,   primo   comma,   della   Costituzione («quest’ultimo in quanto  in  relazione  di  interposizione  rispetto all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  dirittidell’uomo e delle liberta’ fondamentali, cui l’Italia aderisce, ed aldiritto   vivente   derivatone»)      questione   di    legittimita’costituzionale  dell’articolo  339,  terzo  comma,  del   codice   diprocedura civile,  nel  testo  modificato  dall’art.  1  del  decretolegislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di  proceduracivile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilatticae di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14  maggio2005, n. 80), «nella parte in cui non prevede  che  le  sentenze  delgiudice di pace pronunciate secondo equita’ a norma dell’art. 113 co.3 c.p.c. siano appellabili anche per i casi che,  se  ricorrenti  persentenze pronunciate  in  appello  o  in  unico  grado,  renderebberoammissibile la revocazione in base all’art. 395 c.p.c.»;     che (premesso di avere dichiarato, con  sentenza  non  definitiva emanata in pari data nello stesso giudizio, che la sentenza di  primo grado e’ stata «pronunciata in equita’ dal giudice di  pace  ex  art.113, co. 2 c.p.c.» e riportate  le  ragioni  di  tale  decisione)  il rimettente, in termini di  rilevanza  della  questione,  osserva  chel’applicabilita’ della norma censurata nel giudizio  a  quo  discende(oltre che da  tale  accertamento)  dal  fatto  che,  nei  motivi  diappello, e’ espressa una doglianza «relativa a  vizi  della  sentenza impugnata che, se fosse possibile l’appello  a  critica  limitata  exart. 339 c.p.c. anche per motivi corrispondenti a quelli  di  cui  al rimedio per revocazione ex art. 395 – e in particolare n. 4 – c.p.c.,darebbero luogo […] ad accoglimento della doglianza»;    
che  in  tal  senso  il  rimettente,  anche  sulla  scorta  della
giurisprudenza di  legittimita’  in  materia,  intesa  quale  diritto vivente, esprime ed analizza le ragioni per le quali nella specie  si configurerebbe il vizio revocatorio in cui sarebbe incorso il giudicedi  primo  grado  nella  lettura  quantomeno   di   una   deposizione testimoniale;    
che, inoltre, il rimettente sottolinea che – mentre, prima  della
novella della norma censurata, avverso le  sentenze  del  giudice  dipace pronunciate  secondo  equita’,  allora  inappellabili  e  quindi pronunciate in unico grado, era pienamente ammissibile la domanda  di revocazione (ai sensi dell’art.  395  cod.  proc.  civ.)    ora  «la sentenza equitativa del giudice di  pace  non  e’  ne’  una  sentenza pronunciata in grado di appello ne’ una sentenza pronunciata in unicogrado»,  e  quindi  essa  «non   deve   ritenersi   impugnabile   perrevocazione, in particolare, per quanto qui interessa, ex art. 395 n.4 c.p.c.»;     che, sul punto, il rimettente rileva come, data  l’eccezionalita’della disciplina del rimedio revocatorio,  non  sia  praticabile  una lettura estensiva dell’art. 395 cod. proc.  civ.,  che  parifichi  la sentenza equitativa del giudice di pace, appellabile, a una  sentenza emessa in unico grado, la qual cosa avrebbe come implicazione  quella di ammettere un “concorso di impugnazioni”  previo  approntamento  di norme volte a coordinare lo svolgimento dei procedimenti relativi;  e ritiene  altresi’  non  condivisibile  l’eccezione   proposta   dagli appellati, secondo i quali la parte appellante avrebbe semmai  dovuto proporre istanza in revocazione,  pur  inammissibile,  sollevando  intale sede l’eccezione di illegittimita’ costituzionale dell’art.  395cod. proc. civ., nella  parte  in  cui  non  prevede  la  revocazione avverso le sentenze  equitative  del  giudice  di  pace,  poiche’,  agiudizio  del  Tribunale,  e’  «coessenziale  al   sistema   che   la revocazione  e  l’appello  siano  mezzi  di  impugnazione  tra   loro coordinati  nel   senso   dell’esserne   esclusa   la   contemporanea proponibilita’»);    
che, secondo il rimettente, dunque – dandosi per appurata la  non
esperibilita’  della  revocazione  ordinaria   contro   le   sentenzeequitative del giudice di pace rese secondo  equita’    i  dubbi  di incostituzionalita’ sembrano  derivare  solo  dalla  limitazione  dei motivi di appello introdotta, dalla riforma del 2006, nell’art.  339,terzo comma, cod. proc.  civ.,  il  quale,  inserendosi  nel  sistema preesistente,   non   darebbe   rimedi   ne’   con   la   revocazione(inammissibile  trattandosi  di  sentenza   appellabile),   ne’   conl’appello  (previsto  a  motivi  limitati  non  comprendenti  i  vizi revocatori);    
che, quanto alla non manifesta infondatezza,  il  giudice  a  quo
ritiene che la mancata  previsione,  nella  norma  censurata,  tra  imotivi limitati ammissibili a sostegno dell’appello avverso  sentenzein equita’ del giudice di pace (anche) dei  motivi  di  cui  all’art.395,  n.  4,  cod.  proc.  civ.,  contrasti:  a)  con  i  canoni   di ragionevolezza e di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost.,  in  quantopriva alcuni  utenti  della  giustizia  di  uno  strumento  residualeconcesso a quelli cui la causa sia stata decisa in diritto, senza checio’  possa  dirsi  giustificato  dalla  ratio  legis      correlata«all’esigenza  di  differenziare  le   impugnazioni,   evitando   che 1’appello avverso la sentenza equitativa del giudice di pace sia  unanuova  sede   di   valutazione   di   parametri   equitativi   oramai definitivamente  forgiati  dal  primo  giudice  sul  caso   concreto,facendone una sede di revisione da parte del giudice superiore  delle sole ingiustizie della sentenza che siano  frutto  di  violazioni  dinorme processuali o, per quelle sostanziali, apicali del  sistema»  la quale deporrebbe «a favore, piuttosto che  contro,  rispetto  allaparificazione a detti motivi limitati di appello  di  quelli  di  cuiall’art. 395 c.p. c. (e, per quanto qui  occorre,  del  suo  n.  4)»,trovandosi altrimenti  «di  fronte  ad  un  difetto  di  correlazione logico-giuridica  tra  l’ultimo  intervento  normativo  (che  rendevaappellabile  limitatamente  la  sentenza  equitativa)  e   l’impianto preesistente (che vieta la revocazione delle  sentenze  appellabili),non superabile interpretativamente, e senza alcun  coordinamento  trale norme interessate (art. 339 e 395 c.p.c.)»; b) con gli  artt.  24,primo  comma,  111,  primo  comma,  e   117,   primo   comma,   Cost.(«quest’ultimo in quanto  in  relazione  di  interposizione  rispettoall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, cui l’Italia aderisce, ed aldiritto vivente derivatone»), in quanto «la possibilita’ che sia dato ad un giudice di  pronunciare    pur  equitativamente    senza  una possibilita’ di eliminazione  dal  mondo  giuridico  della  decisionedello stesso, se disancorata dai  fatti  obiettivamente  sussistenti,dalla genuinita’ e lealta’ delle prove e dalla stessa immunita’ della decisione dal dolo  delle  parti  o  del  giudice,  si  risolverebbe,infatti,  nella  sostanziale  negazione  della  garanzia  di   tutela giurisdizionale dei diritti e del giusto  processo»;  c)  con  l’art.101, secondo comma, Cost., secondo il quale i giudici  sono  soggetti soltanto  alla  legge,  poiche’   «l’attuale   impianto   processuale imperniato sull’applicazione dell’art. 339 c.p.c. nel testo in essere consentirebbe al giudice di pace di pronunciare in  equita’  restando esentato,  nell’esercizio  dell’equita’  stessa,  in  sostanza,   dal rispetto di fondamentali canoni normativi (talvolta correlati anche anorme penali) quali l’immunita’ del “decisum” da dolo e  falsita’  diprove, oltre  che  di  errori  e  altri  consimili  vizi,  condensati nell’art. 395 c.p.c., i quali semmai rileverebbero  nella  sola  sede penale o del successivo risarcimento dei danni»;    
che e’ intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall’Avvocatura   generale   dello   Stato,concludendo  per  la  declaratoria   di   inammissibilita’   e/o   diinfondatezza della sollevata questione;    
che, innanzitutto, la difesa dello Stato ne eccepisce il  difetto
di rilevanza (ovvero la carente motivazione al riguardo)  in  ragione del fatto che – pur muovendo la prospettazione (secondo cui, a  causa della limitazione dei  motivi  di  appello  proponibili  avverso  una sentenza di equita’ ex art.113, terzo comma, cod.  proc.  civ.,  tale sentenza non potrebbe essere impugnata, ne’ con l’appello ne’ con  la revocazione, in presenza di un vizio contemplato dall’art. 395, primo comma, numero 4, cod. proc. civ.) dal presupposto  della  sussistenza di  una   censura   dell’appellante,   che   il   rimettente   reputa inammissibile, sia come motivo di appello (perche’ estranea ai motividi cui all’art. 339, terzo comma cod. proc. civ.), sia come motivo direvocazione ex art. 395, numero 4, cod. proc.  civ.  (trattandosi  disentenza soggetta ad appello limitato) – il rimettente  medesimo  nonanalizza l’ammissibilita’ della censura proposta nel giudizio  a  quocome motivo di appello sotto il profilo della violazione dei principi regolatori della materia;    
che, inoltre, l’Avvocatura osserva  che,  nella  fattispecie,  la
censura mossa alla sentenza del giudice di pace non riguarda l’errore di fatto previsto dall’art. 395, numero 4, cod.  proc.  civ.,  intesocome  una  falsa  percezione  della  realta’  su  un  fatto  decisivo incontestabilmente  risultante  dagli  atti  o   documenti,   ma   la formulazione di un giudizio sul piano logico giuridico  derivante  da una erronea valutazione delle risultanze testimoniali, che va  al  dila’ di una falsa percezione della realta’;    
che, infine, nel merito l’Avvocatura dello Stato  rileva,  da  un
lato, che l’art.  339,  terzo  comma,  cod.  proc.  civ.  in  realta’consente di ammettere  la  doglianza  in  questione  come  motivo  di appello per violazione dei principi regolatori della materia, poiche’(secondo gli appellanti) la sentenza impugnata si basa su  fatti  nonaccertati in giudizio (in quanto  erroneamente  attribuiti  ai  testi escussi) e quindi contiene una decisione arbitraria che viola uno dei fondamentali principi del diritto processuale secondo  il  quale  nonsono ammesse decisioni basate su di una arbitraria ricostruzione  deifatti;  dall’altro  lato,   che   non   appaiono   condivisibili   le argomentazioni che portano il Tribunale di  Napoli  ad  escludere  la proponibilita’ del vizio revocatorio avverso una sentenza soggetta adappello limitato, giacche’ – lungi dall’applicare analogicamente  una norma eccezionale – si tratta solo di individuare la ratio  dell’art.395 cod. proc. civ. che si  fonda  sul  principio  di  sussidiarieta’secondo il quale il rimedio revocatorio e’ escluso quando il relativo vizio puo’ essere dedotto come motivo di  appello,  mentre  il  vizio medesimo ben potra’ essere dedotto come motivo di revocazione qualoranon lo si ritenesse ammissibile come censura d’appello.     Considerato  che  il  giudice  a  quo  censura  il  terzo   comma dell’articolo 339 del codice di  procedura  civile,  che,  nel  testo vigente, sostituito dall’art. 1 del decreto  legislativo  2  febbraio2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile  in  materia  diprocesso di cassazione in funzione nomofilattica e  di  arbitrato,  anorma dell’articolo 1, comma 2, della L.  14  maggio  2005,  n.  80), dispone che «Le sentenze del  giudice  di  pace  pronunciate  secondo equita’ a  norma  dell’art.  113,  secondo  comma,  sono  appellabili esclusivamente per  violazione  delle  norme  sul  procedimento,  perviolazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei  principi regolatori della materia»;    
che – muovendo  dal  presupposto  della  esistenza  di  un  vizio
revocatorio  ex  art.  395,  numero  4,  cod.  proc.  civ.,   dedotto dall’appellante, in cui sarebbe incorso il giudice di primo  grado  il rimettente (chiamato a decidere in sede  di  gravame  avverso  una decisione del giudice di pace, che  egli  stesso,  con  sentenza  non definitiva, ha dichiarato essere stata pronunciata  secondo  equita’)ritiene  che,  a  causa  della  limitazione  dei  motivi  di  appello proponibili avverso tale sentenza, questa non possa essere  impugnata per far valere  il  vizio  medesimo,  ne’  con  l’appello  (a  motivilimitati) ne’ con  la  revocazione  (consentita  solo  riguardo  alle pronunce indicate al primo comma dell’art. 395 cod.  proc.  civ.);  e che pertanto la norma censurata si  porrebbe  in  contrasto  con  gliarticoli 3, primo comma, 24, primo comma, 101,  secondo  comma,  111,primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione («quest’ultimo in quanto in relazione  di  interposizione  rispetto  all’art.  6  della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, cui l’Italia aderisce, ed al  diritto  vivente derivatone»), «nella parte in cui non prevede  che  le  sentenze  delgiudice di pace pronunciate secondo equita’ a norma dell’art. 113 co.3 c.p.c. siano appellabili anche per i casi che,  se  ricorrenti  persentenze pronunciate  in  appello  o  in  unico  grado,  renderebbero ammissibile la revocazione in base all’art. 395 c.p.c.»;    
che   l’intervenuta   Avvocatura   generale   dello   Stato    ha
preliminarmente eccepito il difetto di rilevanza (ovvero  la  carente motivazione sulla  rilevanza)  della  questione,  per  non  avere  il rimettente analizzato la  possibilita’  di  ritenere  ammissibile  la doglianza proposta nel giudizio a quo come motivo di appello sotto il profilo della violazione dei principi regolatori della materia;    
che siffatta eccezione risulta fondata;
    che, in termini generali,  va  rilevato  che  (come  sottolineato dallo stesso rimettente) la norma censurata,  in  comune  anche  allealtre disposizioni del citato decreto legislativo n. 40 del 2006,  in coerenza ai criteri dettati nella delega  di  cui  all’art.  1  dellalegge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni,del  D.L.  14  marzo  2005,  n.  35,  recante  disposizioni   urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale  e territoriale. Deleghe al  Governo  per  la  modifica  del  codice  diprocedura civile in materia di processo di cassazione e di  arbitrato nonche’ per la riforma  organica  della  disciplina  delle  procedure concorsuali), ha come  obiettivo  espresso  largamente  condiviso  edauspicato dalla stessa Corte di cassazione, quello di recuperarne  la dimensione nomofilattica della propria attivita’, allora «schiacciata da  un  carico  di  ricorsi  eccessivo»,  la   cui   rivitalizzazionerichiedeva appunto  una  riduzione  del  novero  delle  sentenze  non appellabili,  quindi  immediatamente   ricorribili   per   cassazione(sentenza n. 98 del 2008);    
che, in relazione a cio’, questa Corte ha  sottolineato  che  «lo
scopo  di  disciplinare  il  processo  di  legittimita’  in  funzione nomofilattica, alla luce del significato assunto da tale espressione,di rafforzamento di detta funzione, costituisce […]  una  direttiva ermeneutica che deve  presiedere  all’interpretazione  del  contenuto della delega e che rende chiara la facolta’ del legislatore  delegato di ridurre i casi di immediata ricorribilita’  per  cassazione  delle sentenze,  mediante  l’introduzione  dell’appello   quale   “filtro”»(sentenza n. 98 del 2008);    
che, pertanto, in un  tale  contesto  normativo,  tendenzialmente
teso a depurare il sistema dalle  ipotesi  di  ricorso  immediato  in Cassazione (quali quelle avverso le  sentenze  del  giudice  di  pace pronunziate secondo equita’, come previsto  dal  previgente  disposto del  terzo  comma  dell’art.  339  cod.  proc.  civ.),  la   prevista appellabilita’, seppur limitata a taluni  motivi,  di  tali  pronunce costituisce il mezzo attraverso il quale il legislatore ha attribuito al  giudice  dell’appello  la  soluzione  dei  vizi  (attinenti  allaviolazione delle norme sul procedimento, di  norme  costituzionali  o comunitarie ovvero  dei  principi  regolatori  della  materia)  della sentenza del giudice di pace pronunciata secondo equita’;    
che, cio’ premesso, va rilevato che, in punto di rilevanza  della
questione (se da un lato l’ordinanza di rimessione si  dilunga  assaidettagliatamente nell’analisi, sia della  asserita  natura  di  viziorevocatorio dell’errore percettivo in cui sarebbe incorso il  giudicedi pace  nell’esame  delle  prove  testimoniali,  sia  della  dedottaportata decisiva di tale errore nel giudizio di  primo  grado  ed  inquello di appello, ove rappresentabile come motivo di  impugnazione),il giudice a quo, quanto poi alla concreta incidenza della  eventuale pronuncia  di  incostituzionalita’  della   norma   censurata   nelladefinizione del giudizio principale, da’ per scontato che – se «in unappello senza la limitazione dell’art. 339 c.p.c.,  le  doglianze  inparola sarebbero  state  certamente  esaminabili»,  ponendosi  in  uncontesto   di   «logica   di   libera   esaminabilita’   nell’appellotradizionale a motivi  aperti  (anche)  di  motivi  corrispondenti  aquelli a base del rimedio revocatorio» – viceversa oggi tali  profili«non  sono  esaminabili  […],  nell’ambito  dell’appello  a  motivilimitati introdotto, in detta disposizione,  dal  d.lgs.  n.  40  del2006», «atteso che i vizi [corrispondenti a quelli che danno  accessoalla  revocazione]  non  rientrano  in  uno  dei  motivi  di  appello ammissibili  (violazione  di  norme  costituzionali,  comunitarie   o procedimentali)»;    
che siffatta argomentazione pecca di apoditticita’,  giacche’  la
non altrimenti motivata esclusione della qualificabilita’  del  vizio dedotto in appello come violazione di norme sul  procedimento  ovverodi norme costituzionali o comunitarie, o di principi regolatori dellamateria, non appare idonea a sottrarre il rimettente  dal  dovere  di sperimentare la possibilita’ (anche, e soprattutto, alla  luce  della sopra evidenziata ratio che  permea  la  riforma  del  2006  e  della conseguente “direttiva ermeneutica” che da essa  scaturisce,  nonche’dalla considerazione che il giudizio di equita’ non  e’  e  non  puo’essere un giudizio extra-giuridico, ma deve trovare i suoi limiti  inquel medesimo ordinamento nel quale trovano il  loro  significato  lanozione di diritto  soggettivo  e  la  relativa  garanzia  di  tutela giurisdizionale, come affermato dalla sentenza n. 206  del  2004)  didare alla norma impugnata un significato diverso,  tale  da  renderlacompatibile con gli evocati parametri  costituzionali  (ordinanza  n.102 del 2012), in ossequio al principio secondo cui una  disposizionedi legge puo’ essere dichiarata costituzionalmente  illegittima  soloquando non sia possibile attribuirle  un  significato  che  la  rendaconforme a Costituzione (ordinanza n. 212 del 2011);     che, invero, in ragione dello specifico contenuto  del  formulato petitum (diretto, in ultima  analisi,  ad  estendere  il  numero  deimotivi di appellabilita’ limitata delle sentenze pronunciate  secondoequita’ dal giudice di pace, aggiungendo espressamente a quelli  gia’previsti anche quei casi che altrimenti renderebbero  ammissibile  la revocazione in base all’art. 395  cod.  proc.  civ.),  il  rimettenteavrebbe dovuto farsi carico di tentare (non gia’ di ottenere, in modo improprio, un avallo interpretativo da parte di questa Corte, bensi’)di individuare una  diversa  possibile  interpretazione  della  norma censurata idonea a superare i dubbi di costituzionalita’;     che, al contrario, il  rimettente  ha  omesso  di  verificare  inpositivo se il vizio della sentenza di primo grado (che egli  ritiene configurare un errore di fatto revocatorio)  possa  essere  esaminato(anche eventualmente attraverso un adattamento dei motivi di ricorso)nell’ambito dei motivi che consentono l’appello  delle  sentenze  delgiudice di pace pronunciate secondo equita’,  che,  pur  limitato  alcontrollo di vizi specifici, e’  comunque  caratterizzato  dalla  suaessenza di mezzo a critica libera derivante  dall’effetto  devolutivo pieno della materia esaminata in primo grado;     che, in particolare, il rimettente  non  spiega  perche’  i  vizicontemplati dall’art. 395 cod. proc. civ. – una volta considerati nelloro contenuto, siccome tutti afferenti  a  vizi  dell’attivita’  delgiudice e, percio’, a norme del processo che questo ha seguito –  non possano essere considerati riconducibili alla  nozione  di  vizi  del procedimento,  allorquando  siano  deducibili  contro   la   sentenza equitativa del giudice di pace;     che la carente utilizzazione dei  poteri  interpretativi  che  lalegge riconosce al giudice rimettente e la  mancata  esplorazione  didiverse soluzioni ermeneutiche, al fine di far fronte  al  dubbio  di costituzionalita’  ipotizzato  (che  ridonda  anche  in  termini   diinsufficiente motivazione in ordine alla rilevanza  della  questione:ordinanze n. 240 e n. 126 del  2012),  integrano  omissioni  tali  darendere  manifestamente  inammissibile  la  sollevata  questione   dilegittimita’ costituzionale (ordinanze 102 del  2012  e  n.  212  del2011);     che ulteriore profilo di inammissibilita’ deriva  dal  fatto  che l’intervento richiesto a questa Corte sarebbe  caratterizzato  da  un corposo tasso di manipolativita’ e creativita’ (sentenza  n.  36  del2012 e ordinanza n. 240 del 2012), tanto piu’ in un  contesto,  qualequello della conformazione degli istituti processuali, riservato allaampia  discrezionalita’  del  legislatore  col  solo   limite   della manifesta irragionevolezza (ordinanze n. 194 e n. 240 del 2012);    
che, infatti, il rimettente invoca  (come  detto)  una  pronuncia
che, incidendo  sulla  portata  applicativa  della  norma  censurata,introduca (oltre quelle previste  dalla  norma  medesima:  violazione delle norme sul procedimento, di norma costituzionali  o  comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia) un’ulteriore ipotesi di appellabilita’ delle sentenze pronunciate dal giudice di pace secondoequita’ «anche per i casi che, se ricorrenti per sentenze pronunciate in appello o in unico grado, renderebbero ammissibile la  revocazione in base all’art. 395 c.p.c.»;     che tuttavia – anche a prescindere dalla eterogeneita’  dei  vizi elencati come motivi di revocazione ai numeri da 1 a 6 dell’art.  395cod. proc. civ. e dalla diversa operativita’ (quanto  a  presupposti,conoscibilita’,  condizioni  e  termini)  dei  casi  di   revocazione ordinaria (ex art. 395, numeri 4 e 5, cod. proc. civ.) e di quelli di revocazione straordinaria (numeri 1, 2, 3 e 6 del medesimo  articolo)– va sottolineato che (se anche si ritenesse che,  con  la  richiesta additiva, il rimettente abbia voluto riferirsi, data  la  fattispeciesottoposta al suo esame, al solo caso di errore revocatorio  previsto dall’art. 395, primo comma, numero 4, cod. pro civ.) il  petitum  nonsi  configura  affatto  come  soluzione  costituzionalmente  imposta,quantomeno in considerazione  del  fatto  che  (stante  la  variegata configurabilita’ delle ipotesi che in astratto ed in concreto possonomanifestare  la  sussistenza  dell’errore   percettivo)   l’eventuale riconduzione del  sistema  a  costituzionalita’  non  necessariamente dovrebbe tradursi in una pronuncia che semplicemente  (rispetto  allesentenze secondo equita’ del giudice di pace) trasformi  (tutti)  gli eventuali motivi di revocazione in  altrettanti  motivi  limitati  diappello;     che un intervento di cosi’ ampia portata, capace  di  coinvolgere simultaneamente la disciplina dell’appello e dei casi di revocazione,con la necessita’ di rivederne istituti e  nozioni  ovvero  anche  diregolarne il coordinamento, e’ riservato  al  legislatore,  al  qualesoltanto compete di definire un equilibrio diverso da quello  attualetra rimedi interni alle singole fasi o gradi  del  giudizio,  nonche’tra mezzi di impugnazione ordinari e straordinari (ordinanza  n.  305del 2001);    
che, di conseguenza, la  sollevata  questione  e’  manifestamente
inammissibile.    
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla Corte costituzionale. 
per questi motivi 
                      

                                                      LA CORTE COSTITUZIONALE 
    

dichiara  la  manifesta  inammissibilita’  della   questione   dilegittimita’  costituzionale  dell’articolo  339,  terzo  comma,  delcodice di procedura civile, come modificato dall’art. 1  del  decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di  procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilatticae di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14  maggio 2005, n. 80), sollevata –  in  riferimento  agli  articoli  3,  primo comma, 24, primo comma, 101, secondo comma, 111, primo comma, e  117,primo comma, della Costituzione («quest’ultimo in quanto in relazionedi interposizione rispetto all’art. 6 della Convenzione  europea  perla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’  fondamentali,cui l’Italia aderisce, ed  al  diritto  vivente  derivatone»)    dal Tribunale ordinario  di  Napoli,  in  composizione  monocratica,  conl’ordinanza indicata in epigrafe.    
Cosi’ deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l’11 dicembre 2012.
 
                    F.to:         Alfonso QUARANTA,Presidente                       
Paolo GROSSI, Redattore 
                  
Gabriella MELATTI, Cancelliere 
    
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2012. 
                   
Il Direttore della Cancelleria 
                      
F.to: Gabriella MELATTI
 

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