Corte Costituzionale Ordinanza n° 304 – appellabilita’ – sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equita’ a norma dell’art. 113, comma secondo – 19.12.2012. –

![]() LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Alfonso QUARANTA; Giudici :Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 339, terzo comma, del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Napoli, in composizione monocratica, nel procedimentovertente tra C. F. e G. S. ed altri con ordinanza del 30 gennaio 2012, iscritta al n. 164 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima seriespeciale, dell’anno 2012. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2012 il Giudice relatore Paolo Grossi. Ritenuto che, nel corso di un giudizio di appello avverso una sentenza resa dal Giudice di pace di Napoli in una controversia civile di risarcimento danni derivanti da sinistro stradale, ilTribunale ordinario di Napoli, in composizione monocratica, con ordinanza emessa il 30 gennaio 2012, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, primo comma, 101, secondo comma,111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione («quest’ultimo in quanto in relazione di interposizione rispetto all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei dirittidell’uomo e delle liberta’ fondamentali, cui l’Italia aderisce, ed aldiritto vivente derivatone») – questione di legittimita’costituzionale dell’articolo 339, terzo comma, del codice diprocedura civile, nel testo modificato dall’art. 1 del decretolegislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di proceduracivile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilatticae di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio2005, n. 80), «nella parte in cui non prevede che le sentenze delgiudice di pace pronunciate secondo equita’ a norma dell’art. 113 co.3 c.p.c. siano appellabili anche per i casi che, se ricorrenti persentenze pronunciate in appello o in unico grado, renderebberoammissibile la revocazione in base all’art. 395 c.p.c.»; che (premesso di avere dichiarato, con sentenza non definitiva emanata in pari data nello stesso giudizio, che la sentenza di primo grado e’ stata «pronunciata in equita’ dal giudice di pace ex art.113, co. 2 c.p.c.» e riportate le ragioni di tale decisione) il rimettente, in termini di rilevanza della questione, osserva chel’applicabilita’ della norma censurata nel giudizio a quo discende(oltre che da tale accertamento) dal fatto che, nei motivi diappello, e’ espressa una doglianza «relativa a vizi della sentenza impugnata che, se fosse possibile l’appello a critica limitata exart. 339 c.p.c. anche per motivi corrispondenti a quelli di cui al rimedio per revocazione ex art. 395 – e in particolare n. 4 – c.p.c.,darebbero luogo […] ad accoglimento della doglianza»; che in tal senso il rimettente, anche sulla scorta dellagiurisprudenza di legittimita’ in materia, intesa quale diritto vivente, esprime ed analizza le ragioni per le quali nella specie si configurerebbe il vizio revocatorio in cui sarebbe incorso il giudicedi primo grado nella lettura quantomeno di una deposizione testimoniale; che, inoltre, il rimettente sottolinea che – mentre, prima dellanovella della norma censurata, avverso le sentenze del giudice dipace pronunciate secondo equita’, allora inappellabili e quindi pronunciate in unico grado, era pienamente ammissibile la domanda di revocazione (ai sensi dell’art. 395 cod. proc. civ.) – ora «la sentenza equitativa del giudice di pace non e’ ne’ una sentenza pronunciata in grado di appello ne’ una sentenza pronunciata in unicogrado», e quindi essa «non deve ritenersi impugnabile perrevocazione, in particolare, per quanto qui interessa, ex art. 395 n.4 c.p.c.»; che, sul punto, il rimettente rileva come, data l’eccezionalita’della disciplina del rimedio revocatorio, non sia praticabile una lettura estensiva dell’art. 395 cod. proc. civ., che parifichi la sentenza equitativa del giudice di pace, appellabile, a una sentenza emessa in unico grado, la qual cosa avrebbe come implicazione quella di ammettere un “concorso di impugnazioni” previo approntamento di norme volte a coordinare lo svolgimento dei procedimenti relativi; e ritiene altresi’ non condivisibile l’eccezione proposta dagli appellati, secondo i quali la parte appellante avrebbe semmai dovuto proporre istanza in revocazione, pur inammissibile, sollevando intale sede l’eccezione di illegittimita’ costituzionale dell’art. 395cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede la revocazione avverso le sentenze equitative del giudice di pace, poiche’, agiudizio del Tribunale, e’ «coessenziale al sistema che la revocazione e l’appello siano mezzi di impugnazione tra loro coordinati nel senso dell’esserne esclusa la contemporanea proponibilita’»); che, secondo il rimettente, dunque – dandosi per appurata la non esperibilita’ della revocazione ordinaria contro le sentenzeequitative del giudice di pace rese secondo equita’ – i dubbi di incostituzionalita’ sembrano derivare solo dalla limitazione dei motivi di appello introdotta, dalla riforma del 2006, nell’art. 339,terzo comma, cod. proc. civ., il quale, inserendosi nel sistema preesistente, non darebbe rimedi ne’ con la revocazione(inammissibile trattandosi di sentenza appellabile), ne’ conl’appello (previsto a motivi limitati non comprendenti i vizi revocatori); che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che la mancata previsione, nella norma censurata, tra imotivi limitati ammissibili a sostegno dell’appello avverso sentenzein equita’ del giudice di pace (anche) dei motivi di cui all’art.395, n. 4, cod. proc. civ., contrasti: a) con i canoni di ragionevolezza e di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., in quantopriva alcuni utenti della giustizia di uno strumento residualeconcesso a quelli cui la causa sia stata decisa in diritto, senza checio’ possa dirsi giustificato dalla ratio legis – correlata«all’esigenza di differenziare le impugnazioni, evitando che 1’appello avverso la sentenza equitativa del giudice di pace sia unanuova sede di valutazione di parametri equitativi oramai definitivamente forgiati dal primo giudice sul caso concreto,facendone una sede di revisione da parte del giudice superiore delle sole ingiustizie della sentenza che siano frutto di violazioni dinorme processuali o, per quelle sostanziali, apicali del sistema» –la quale deporrebbe «a favore, piuttosto che contro, rispetto allaparificazione a detti motivi limitati di appello di quelli di cuiall’art. 395 c.p. c. (e, per quanto qui occorre, del suo n. 4)»,trovandosi altrimenti «di fronte ad un difetto di correlazione logico-giuridica tra l’ultimo intervento normativo (che rendevaappellabile limitatamente la sentenza equitativa) e l’impianto preesistente (che vieta la revocazione delle sentenze appellabili),non superabile interpretativamente, e senza alcun coordinamento trale norme interessate (art. 339 e 395 c.p.c.)»; b) con gli artt. 24,primo comma, 111, primo comma, e 117, primo comma, Cost.(«quest’ultimo in quanto in relazione di interposizione rispettoall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, cui l’Italia aderisce, ed aldiritto vivente derivatone»), in quanto «la possibilita’ che sia dato ad un giudice di pronunciare – pur equitativamente – senza una possibilita’ di eliminazione dal mondo giuridico della decisionedello stesso, se disancorata dai fatti obiettivamente sussistenti,dalla genuinita’ e lealta’ delle prove e dalla stessa immunita’ della decisione dal dolo delle parti o del giudice, si risolverebbe,infatti, nella sostanziale negazione della garanzia di tutela giurisdizionale dei diritti e del giusto processo»; c) con l’art.101, secondo comma, Cost., secondo il quale i giudici sono soggetti soltanto alla legge, poiche’ «l’attuale impianto processuale imperniato sull’applicazione dell’art. 339 c.p.c. nel testo in essere consentirebbe al giudice di pace di pronunciare in equita’ restando esentato, nell’esercizio dell’equita’ stessa, in sostanza, dal rispetto di fondamentali canoni normativi (talvolta correlati anche anorme penali) quali l’immunita’ del “decisum” da dolo e falsita’ diprove, oltre che di errori e altri consimili vizi, condensati nell’art. 395 c.p.c., i quali semmai rileverebbero nella sola sede penale o del successivo risarcimento dei danni»; che e’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,concludendo per la declaratoria di inammissibilita’ e/o diinfondatezza della sollevata questione; che, innanzitutto, la difesa dello Stato ne eccepisce il difetto di rilevanza (ovvero la carente motivazione al riguardo) in ragione del fatto che – pur muovendo la prospettazione (secondo cui, a causa della limitazione dei motivi di appello proponibili avverso una sentenza di equita’ ex art.113, terzo comma, cod. proc. civ., tale sentenza non potrebbe essere impugnata, ne’ con l’appello ne’ con la revocazione, in presenza di un vizio contemplato dall’art. 395, primo comma, numero 4, cod. proc. civ.) dal presupposto della sussistenza di una censura dell’appellante, che il rimettente reputa inammissibile, sia come motivo di appello (perche’ estranea ai motividi cui all’art. 339, terzo comma cod. proc. civ.), sia come motivo direvocazione ex art. 395, numero 4, cod. proc. civ. (trattandosi disentenza soggetta ad appello limitato) – il rimettente medesimo nonanalizza l’ammissibilita’ della censura proposta nel giudizio a quocome motivo di appello sotto il profilo della violazione dei principi regolatori della materia; che, inoltre, l’Avvocatura osserva che, nella fattispecie, la censura mossa alla sentenza del giudice di pace non riguarda l’errore di fatto previsto dall’art. 395, numero 4, cod. proc. civ., intesocome una falsa percezione della realta’ su un fatto decisivo incontestabilmente risultante dagli atti o documenti, ma la formulazione di un giudizio sul piano logico giuridico derivante da una erronea valutazione delle risultanze testimoniali, che va al dila’ di una falsa percezione della realta’; che, infine, nel merito l’Avvocatura dello Stato rileva, da unlato, che l’art. 339, terzo comma, cod. proc. civ. in realta’consente di ammettere la doglianza in questione come motivo di appello per violazione dei principi regolatori della materia, poiche’(secondo gli appellanti) la sentenza impugnata si basa su fatti nonaccertati in giudizio (in quanto erroneamente attribuiti ai testi escussi) e quindi contiene una decisione arbitraria che viola uno dei fondamentali principi del diritto processuale secondo il quale nonsono ammesse decisioni basate su di una arbitraria ricostruzione deifatti; dall’altro lato, che non appaiono condivisibili le argomentazioni che portano il Tribunale di Napoli ad escludere la proponibilita’ del vizio revocatorio avverso una sentenza soggetta adappello limitato, giacche’ – lungi dall’applicare analogicamente una norma eccezionale – si tratta solo di individuare la ratio dell’art.395 cod. proc. civ. che si fonda sul principio di sussidiarieta’secondo il quale il rimedio revocatorio e’ escluso quando il relativo vizio puo’ essere dedotto come motivo di appello, mentre il vizio medesimo ben potra’ essere dedotto come motivo di revocazione qualoranon lo si ritenesse ammissibile come censura d’appello. Considerato che il giudice a quo censura il terzo comma dell’articolo 339 del codice di procedura civile, che, nel testo vigente, sostituito dall’art. 1 del decreto legislativo 2 febbraio2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia diprocesso di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, anorma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80), dispone che «Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equita’ a norma dell’art. 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, perviolazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia»; che – muovendo dal presupposto della esistenza di un vizio revocatorio ex art. 395, numero 4, cod. proc. civ., dedotto dall’appellante, in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado –il rimettente (chiamato a decidere in sede di gravame avverso una decisione del giudice di pace, che egli stesso, con sentenza non definitiva, ha dichiarato essere stata pronunciata secondo equita’)ritiene che, a causa della limitazione dei motivi di appello proponibili avverso tale sentenza, questa non possa essere impugnata per far valere il vizio medesimo, ne’ con l’appello (a motivilimitati) ne’ con la revocazione (consentita solo riguardo alle pronunce indicate al primo comma dell’art. 395 cod. proc. civ.); e che pertanto la norma censurata si porrebbe in contrasto con gliarticoli 3, primo comma, 24, primo comma, 101, secondo comma, 111,primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione («quest’ultimo in quanto in relazione di interposizione rispetto all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, cui l’Italia aderisce, ed al diritto vivente derivatone»), «nella parte in cui non prevede che le sentenze delgiudice di pace pronunciate secondo equita’ a norma dell’art. 113 co.3 c.p.c. siano appellabili anche per i casi che, se ricorrenti persentenze pronunciate in appello o in unico grado, renderebbero ammissibile la revocazione in base all’art. 395 c.p.c.»; che l’intervenuta Avvocatura generale dello Stato ha preliminarmente eccepito il difetto di rilevanza (ovvero la carente motivazione sulla rilevanza) della questione, per non avere il rimettente analizzato la possibilita’ di ritenere ammissibile la doglianza proposta nel giudizio a quo come motivo di appello sotto il profilo della violazione dei principi regolatori della materia; che siffatta eccezione risulta fondata; che, in termini generali, va rilevato che (come sottolineato dallo stesso rimettente) la norma censurata, in comune anche allealtre disposizioni del citato decreto legislativo n. 40 del 2006, in coerenza ai criteri dettati nella delega di cui all’art. 1 dellalegge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni,del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice diprocedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonche’ per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), ha come obiettivo espresso largamente condiviso edauspicato dalla stessa Corte di cassazione, quello di recuperarne la dimensione nomofilattica della propria attivita’, allora «schiacciata da un carico di ricorsi eccessivo», la cui rivitalizzazionerichiedeva appunto una riduzione del novero delle sentenze non appellabili, quindi immediatamente ricorribili per cassazione(sentenza n. 98 del 2008); che, in relazione a cio’, questa Corte ha sottolineato che «loscopo di disciplinare il processo di legittimita’ in funzione nomofilattica, alla luce del significato assunto da tale espressione,di rafforzamento di detta funzione, costituisce […] una direttiva ermeneutica che deve presiedere all’interpretazione del contenuto della delega e che rende chiara la facolta’ del legislatore delegato di ridurre i casi di immediata ricorribilita’ per cassazione delle sentenze, mediante l’introduzione dell’appello quale “filtro”»(sentenza n. 98 del 2008); che, pertanto, in un tale contesto normativo, tendenzialmente teso a depurare il sistema dalle ipotesi di ricorso immediato in Cassazione (quali quelle avverso le sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equita’, come previsto dal previgente disposto del terzo comma dell’art. 339 cod. proc. civ.), la prevista appellabilita’, seppur limitata a taluni motivi, di tali pronunce costituisce il mezzo attraverso il quale il legislatore ha attribuito al giudice dell’appello la soluzione dei vizi (attinenti allaviolazione delle norme sul procedimento, di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia) della sentenza del giudice di pace pronunciata secondo equita’; che, cio’ premesso, va rilevato che, in punto di rilevanza dellaquestione (se da un lato l’ordinanza di rimessione si dilunga assaidettagliatamente nell’analisi, sia della asserita natura di viziorevocatorio dell’errore percettivo in cui sarebbe incorso il giudicedi pace nell’esame delle prove testimoniali, sia della dedottaportata decisiva di tale errore nel giudizio di primo grado ed inquello di appello, ove rappresentabile come motivo di impugnazione),il giudice a quo, quanto poi alla concreta incidenza della eventuale pronuncia di incostituzionalita’ della norma censurata nelladefinizione del giudizio principale, da’ per scontato che – se «in unappello senza la limitazione dell’art. 339 c.p.c., le doglianze inparola sarebbero state certamente esaminabili», ponendosi in uncontesto di «logica di libera esaminabilita’ nell’appellotradizionale a motivi aperti (anche) di motivi corrispondenti aquelli a base del rimedio revocatorio» – viceversa oggi tali profili«non sono esaminabili […], nell’ambito dell’appello a motivilimitati introdotto, in detta disposizione, dal d.lgs. n. 40 del2006», «atteso che i vizi [corrispondenti a quelli che danno accessoalla revocazione] non rientrano in uno dei motivi di appello ammissibili (violazione di norme costituzionali, comunitarie o procedimentali)»; che siffatta argomentazione pecca di apoditticita’, giacche’ lanon altrimenti motivata esclusione della qualificabilita’ del vizio dedotto in appello come violazione di norme sul procedimento ovverodi norme costituzionali o comunitarie, o di principi regolatori dellamateria, non appare idonea a sottrarre il rimettente dal dovere di sperimentare la possibilita’ (anche, e soprattutto, alla luce della sopra evidenziata ratio che permea la riforma del 2006 e della conseguente “direttiva ermeneutica” che da essa scaturisce, nonche’dalla considerazione che il giudizio di equita’ non e’ e non puo’essere un giudizio extra-giuridico, ma deve trovare i suoi limiti inquel medesimo ordinamento nel quale trovano il loro significato lanozione di diritto soggettivo e la relativa garanzia di tutela giurisdizionale, come affermato dalla sentenza n. 206 del 2004) didare alla norma impugnata un significato diverso, tale da renderlacompatibile con gli evocati parametri costituzionali (ordinanza n.102 del 2012), in ossequio al principio secondo cui una disposizionedi legge puo’ essere dichiarata costituzionalmente illegittima soloquando non sia possibile attribuirle un significato che la rendaconforme a Costituzione (ordinanza n. 212 del 2011); che, invero, in ragione dello specifico contenuto del formulato petitum (diretto, in ultima analisi, ad estendere il numero deimotivi di appellabilita’ limitata delle sentenze pronunciate secondoequita’ dal giudice di pace, aggiungendo espressamente a quelli gia’previsti anche quei casi che altrimenti renderebbero ammissibile la revocazione in base all’art. 395 cod. proc. civ.), il rimettenteavrebbe dovuto farsi carico di tentare (non gia’ di ottenere, in modo improprio, un avallo interpretativo da parte di questa Corte, bensi’)di individuare una diversa possibile interpretazione della norma censurata idonea a superare i dubbi di costituzionalita’; che, al contrario, il rimettente ha omesso di verificare inpositivo se il vizio della sentenza di primo grado (che egli ritiene configurare un errore di fatto revocatorio) possa essere esaminato(anche eventualmente attraverso un adattamento dei motivi di ricorso)nell’ambito dei motivi che consentono l’appello delle sentenze delgiudice di pace pronunciate secondo equita’, che, pur limitato alcontrollo di vizi specifici, e’ comunque caratterizzato dalla suaessenza di mezzo a critica libera derivante dall’effetto devolutivo pieno della materia esaminata in primo grado; che, in particolare, il rimettente non spiega perche’ i vizicontemplati dall’art. 395 cod. proc. civ. – una volta considerati nelloro contenuto, siccome tutti afferenti a vizi dell’attivita’ delgiudice e, percio’, a norme del processo che questo ha seguito – non possano essere considerati riconducibili alla nozione di vizi del procedimento, allorquando siano deducibili contro la sentenza equitativa del giudice di pace; che la carente utilizzazione dei poteri interpretativi che lalegge riconosce al giudice rimettente e la mancata esplorazione didiverse soluzioni ermeneutiche, al fine di far fronte al dubbio di costituzionalita’ ipotizzato (che ridonda anche in termini diinsufficiente motivazione in ordine alla rilevanza della questione:ordinanze n. 240 e n. 126 del 2012), integrano omissioni tali darendere manifestamente inammissibile la sollevata questione dilegittimita’ costituzionale (ordinanze 102 del 2012 e n. 212 del2011); che ulteriore profilo di inammissibilita’ deriva dal fatto che l’intervento richiesto a questa Corte sarebbe caratterizzato da un corposo tasso di manipolativita’ e creativita’ (sentenza n. 36 del2012 e ordinanza n. 240 del 2012), tanto piu’ in un contesto, qualequello della conformazione degli istituti processuali, riservato allaampia discrezionalita’ del legislatore col solo limite della manifesta irragionevolezza (ordinanze n. 194 e n. 240 del 2012); che, infatti, il rimettente invoca (come detto) una pronunciache, incidendo sulla portata applicativa della norma censurata,introduca (oltre quelle previste dalla norma medesima: violazione delle norme sul procedimento, di norma costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia) un’ulteriore ipotesi di appellabilita’ delle sentenze pronunciate dal giudice di pace secondoequita’ «anche per i casi che, se ricorrenti per sentenze pronunciate in appello o in unico grado, renderebbero ammissibile la revocazione in base all’art. 395 c.p.c.»; che tuttavia – anche a prescindere dalla eterogeneita’ dei vizi elencati come motivi di revocazione ai numeri da 1 a 6 dell’art. 395cod. proc. civ. e dalla diversa operativita’ (quanto a presupposti,conoscibilita’, condizioni e termini) dei casi di revocazione ordinaria (ex art. 395, numeri 4 e 5, cod. proc. civ.) e di quelli di revocazione straordinaria (numeri 1, 2, 3 e 6 del medesimo articolo)– va sottolineato che (se anche si ritenesse che, con la richiesta additiva, il rimettente abbia voluto riferirsi, data la fattispeciesottoposta al suo esame, al solo caso di errore revocatorio previsto dall’art. 395, primo comma, numero 4, cod. pro civ.) il petitum nonsi configura affatto come soluzione costituzionalmente imposta,quantomeno in considerazione del fatto che (stante la variegata configurabilita’ delle ipotesi che in astratto ed in concreto possonomanifestare la sussistenza dell’errore percettivo) l’eventuale riconduzione del sistema a costituzionalita’ non necessariamente dovrebbe tradursi in una pronuncia che semplicemente (rispetto allesentenze secondo equita’ del giudice di pace) trasformi (tutti) gli eventuali motivi di revocazione in altrettanti motivi limitati diappello; che un intervento di cosi’ ampia portata, capace di coinvolgere simultaneamente la disciplina dell’appello e dei casi di revocazione,con la necessita’ di rivederne istituti e nozioni ovvero anche diregolarne il coordinamento, e’ riservato al legislatore, al qualesoltanto compete di definire un equilibrio diverso da quello attualetra rimedi interni alle singole fasi o gradi del giudizio, nonche’tra mezzi di impugnazione ordinari e straordinari (ordinanza n. 305del 2001); che, di conseguenza, la sollevata questione e’ manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilita’ della questione dilegittimita’ costituzionale dell’articolo 339, terzo comma, delcodice di procedura civile, come modificato dall’art. 1 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilatticae di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80), sollevata – in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, primo comma, 101, secondo comma, 111, primo comma, e 117,primo comma, della Costituzione («quest’ultimo in quanto in relazionedi interposizione rispetto all’art. 6 della Convenzione europea perla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali,cui l’Italia aderisce, ed al diritto vivente derivatone») – dal Tribunale ordinario di Napoli, in composizione monocratica, conl’ordinanza indicata in epigrafe. Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,Palazzo della Consulta, l’11 dicembre 2012. F.to: Alfonso QUARANTA,Presidente Paolo GROSSI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2012. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI |