Condominio – decreto ingiuntivo – competenza per valore – 12.12.06
Corte di Cassazione Sezione 3 CivileSentenza del 12 dicembre 2006, n. 26527 Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Gaetano NICASTRO – Presidente e Relatore
Dott. Luigi Francesco DI NANNI – Consigliere
Dott. Br. DURANTE – Consigliere
Dott. Giacomo TRAVAGLINO – Consigliere
Dott. Giacinto BISOGNI – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ia.Ni. , difensore si se stesso, domiciliato in Ro. via Ri. n. (…);
– ricorrente –
contro
Condominio di via A.Ri.Ro. (…) Ro., in persona dell’Amministratore pro-tempore sig. ra Ma.Po. , elettivamente domiciliato in Ro. via Ez.(…), presso lo studio dell’avvocato Pe.Ma. , che lo difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2828/04 del Giudice di pace di ROMA, depositata il 20/01/04; R:G: 843344/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/06 dal Consigliere Dott. Fabio MAZZA;
udito l’Avvocato N. I.;udito l’Avvocato M. P.;
udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Federico SORRENTINO che ha concluso perI il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’avv. I. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace di Roma il 1° giugno 2003, con il quale gli era stato intimato di pagare al Condominio di via Ri. , n.(…), Euro 413,16, oltre interessi legali e spese, quale canone di locazione di un locale soffitta da gennaio ad agosto 2001, somma inserita nel rendiconto del 2002, approvato dall’assemblea il 31 marzo 2003, a titolo di “crediti verso affittuari morosi”. L’opponente precisava di aver locato il locale esistente nel condominio, ove era proprietario di un appartamento ed esercitava la propria professione, con contratto dell’I luglio 2000, per un canone annuo di Lire 1.200.000, pari ad Euro 619,75, convenendo con l’Amministratore di apportare le modifiche necessarie per destinarlo ad archivio ed anticipando la relativa spesa di Euro 1.032,91 all’impresa, scelta dall’Amministratore (ed utilizzata anche per lavori di ristrutturazione di altre parti comuni), oltre ad Euro 154,94 per le scaffalature metalliche; nell’assemblea del 4 aprile 2002 il condominio, a scopo meramente speculativo, aveva peraltro deliberato di disdettare il contratto, sicché aveva iniziato a sgomberare l’immobile ed il locale era stato utilizzato anche da altri condomini: il debito si riduceva, quindi, alle mensilità dovute da gennaio ad aprile, per complessivi Euro 206,58; il condominio aveva poi formalizzato la richiesta di restituzione con lettera del 26 luglio 2002, allorché, compensato quanto a lui dovuto per i lavori eseguiti con l’importo dei canoni, residuava un proprio credito di Euro 826,33, di cui chiedeva il pagamento.
Costituitosi il contraddittorio, il Condominio proponeva varie eccezioni.
Con la sentenza ora impugnata il Giudice di Pace rigettava le eccezioni e le domande dello Ia. e “conferma (va) in ogni sua parte” il decreto ingiuntivo opposto, condannando l’opponente alle spese di causa. Preliminarmente il giudicante rigettava l’eccezione di incompetenza funzionale, avanzata alla prima udienza, ritenendo trattarsi di “credito mobiliare connesso a rendita del condominio” e “tenuto conto della particolare natura atipica del contratto concluso tra il condominio ed uno dei condomini proprietario, per ciò stesso, di una quota dello stesso locale concesso in affitto, e della circostanza che dello stesso locale egli si era costituito custode”, sottolineando l’onere, ma non l’obbligo, del convenuto di presenziare al tentativo di conciliazione. Nel merito riteneva che nessun credito l’opponente potesse vantare per i lavori eseguiti, non previsti dal contratto ed in difetto di autorizzazione scritta dell’amministratore, sia pure ex art. 1575 cc, avendo dichiarato di aver visitato il locale e di averlo trovato idoneo all’uso cui era destinato, approvando espressamente l’art. 9 del contratto; ugualmente ai sensi degli artt. 1110 e 1134 cc., non trattandosi di spese necessarie per la conservazione della cosa comune e non riscontrandosi motivi di urgenza. In ordine al canone dovuto rilevava, infine, che nell’assemblea dell’aprile non era stata deliberata alcuna disdetta ma soltanto – nell’ambito delle “varie ed eventuali” – di porre la questione relativa alla sua opportunità ad una successiva seduta mentre la disdetta vera e propria era stata effettuata solo il 26 luglio 2002.
Avverso la sentenz a ha proposto ricorso per cassazione l’avv. Ia. , affidandosi a cinque motivi, cui resiste, con controricorso, il Condominio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 – Con la memoria presentata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. il ricorrente assume, anzitutto, l’inammissibilità del controricorso per irritualità della procura a margine, “in quanto priva del requisito della specificità previsto dall’art. 365 cod. proc. , civ. “. In realtà la procura, apposta a margine del controricorso, assume con ciò stesso carattere di specialità (facendo, fra l’altro, specifico riferimento al “presente giudizio”), non rilevando eventuali ed ulteriori riferimenti ad altre e diverse fasi.
2. – Vanno anzitutto esaminate le eccezioni del controricoricorrente relative alla ammissibilità del ricorso (peraltro rilevabile di ufficio) sotto un duplice profilo:
a) avendo il Giudice di Pace giudicato secondo diritto – come doveva -, e non secondo equità, la questione relativa alla competenza; b) in quanto la causa supererebbe il valore entro il quale il giudice deve giudicare secondo equità, dovendosi sommare l’ammontare dei canoni – Euro 413,16 – alla domanda riconvenzionale, di Euro 826,33.
Il primo profilo è destituito di fondamento. L’equità concerne esclusivamente il giudizio di merito e non anche le questioni processuali che possano essere prospettate dalle parti o siano rilevabili di ufficio, sicché al primo soltanto fa riferimento l’art. 113 cod. proc. civ.
È fondato, viceversa, il secondo profilo di inammissibilità. Come questa Corte ha avuto modo di chiarire sin dalla sentenza 17 ottobre 1975, n. 3378 “colui che propone opposizione al decreto ingiuntivo assume la veste di attore; pertanto, qualora egli aggiunga alla domanda di revoca del decreto quella di risarcimento del danno, …ai fini della determinazione della competenza i valori di ciascuna delle due domande debbono essere sommati”. Il principio, che trova fondamento nell’art. 10, e. 2, c.p.c, è stato ribadito, anche di recente da Cass. 8 aprile 2002, n. 4994: a prescindere dalla dibattuta questione relativa alla posizione dell’opponente ed anche se in quest’ultima decisione la domanda riconvenzionale, di valore indeterminato, superava già la competenza entro la quale il giudice di pace deve giudicare secondo equità, il principio che qui interessa attiene alla applicabilità – comunque – del secondo comma dell’art. 10 cod. proc. civ. . Né, in contrario, può farsi riferimento al principio affermato da Cass. 6 giugno 2006, n. 13. 228, che concerne una specifica fattispecie ed in particolare l’ipotesi in cui una delle domande rientri nella competenza per materia dei giudice di Giudice di Pace. In aggiunta alle considerazioni svolte nelle decisioni all’inizio richiamate è opportuno rilevare, fra l’altro, che il secondo comma dell’art. 113 cod. proc. civ. fa riferimento al valore delle “cause” e non delle singole domande, con un preciso parallelismo con il termine usato nel secondo comma dell’art. 10, ai fini della determinazione del valore.
Nella specie quindi, il ricorso deve dichiararsi inammissibile. Con l’opposizione al decreto ingiuntivo il ricorrente ha infatti, da un canto, contestato la pretesa del Condominio e, in particolare, di dovere la somma richiesta di Euro 413,16 (oltre interessi), e, dall’altro, richiesto l’accertamento di un proprio credito di Euro 1.032,91, e la parziale compensazione con quanto ancora dovuto ( Euro 206,58). Il cumulo ( Euro 413,16 Euro 1,032,91) supera il limite entro il quale il giudice di pace giudica secondo equità, sicché contro la sentenza era proponibile l’appello e non il ricorso per cassazione, non rilevando la natura dei principi in concreto applicati né l’eccepita incompetenza.
3. – Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 550,00, di cui Euro 500,00 per onorari.
P.Q.M.
LA CORTE
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 550,00