Corte di Cassazione n° 1260 – Giudice di Pace – giudizio di equità – 21.01.08 –

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La Corte di Cassazione, confermando la sentenza del Giudice di Pace di Biella ha precisato:  la Corte Costituzionale ha chiarito che il giudizio di equità non è non può essere un giudizio extra-giuridico, atteso che la sola funzione che alla giurisdizione di equità può riconoscersi, in un sistema caratterizzato dal principio di legalità a sua volta ancorato al principio di costituzionalità è quella di individuare l’eventuale regola di giudizio non scritta che, con riferimento al caso concreto, consenta una soluzione della controversia più adeguata alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta, alla stregua tuttavia dei medesimi principi cui si ispira la disciplina positiva: principi che non potrebbero essere posti in discussione dal giudicante, pena lo sconfinamento nell’arbitrio, attraverso una contrapposizione con le proprie categorie soggettive di equità e ragionevolezza. Nell’attuazione della pronuncia di incostituzionalità i principi informatori della materia sono stati individuati da questa Corte (sent. 17 gennaio 2005, n. 743) nei principi ai quali il legislatore si ispira nel porre una determinata regola: questi differiscono dai principi regolatori della materia che vincolavano il giudice conciliatore poiché, mentre il conciliatore doveva osservare le regole fondamentali del rapporto traendoli dal complesso di norme preesistenti con le quali il legislatore lo aveva disciplinato, il giudice di pace non deve osservare una regola equitativa tratta dalla disciplina dettata in concreto, ma deve solo curare che essa non contrasti con i principi cui si è ispirato il legislatore nel dettare una determinata disciplina. Il rispetto dei principi informatori non vincola perciò il giudice di pace all’osservanza di una regola ricavabile dal sistema ma costituisce unicamente un limite al giudizio di equità al fine di evitare qualsiasi sconfinamento nell’arbitrio”.  

                                                                 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

                                                           Sezione II Civile
Sentenza n. 1260 / 2008

udienza del 30 ottobre 2007deposito del 21 gennaio 2008  Fatto e diritto E. B. P. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di Pace di Biella del 2 dicembre 2005 di accoglimento della domanda di risarcimento del danno proposta nei suoi confronti da A. C. con riferimento alla spesa sostenuta per la pulizia dell’area di sua proprietà sottostante a una betulla piantata della attuale ricorrente nel fondo confinante. Non ha svolto attività difensiva l’intimato. 
Il Giudice di Pace, disattesa l’eccezione di carenza di legittimazione attiva del C. sollevata dalla convenuta con riferimento alla qualità di nudo proprietario dell’attore, riteneva provata la responsabilità della P. in ordine ai danni documentati dal preventivo in atti.
Attivatasi procedura ex art. 375 cod. proc. civ. il Procuratore Generale ha inviato richiesta scritta di rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
 Il ricorso è manifestamente infondato. Lamenta la ricorrente: 
1) con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnata, non avendo il Giudice di Pace indicato la regola equitativa applicata, atteso che il riferimento “al sacrosanto diritto di tutelare il proprio fondo e la propria abitazione dai gravi danni, materiali e igienici, causati dalla convenuta e ad evitare lavori e spese per l’incuria della vicina confinante ” si risolve in una petizione di principio e non indica alcun criterio e tantomeno un principio informatore della materia; 
2) con il secondo motivo, la violazione dei principi informatori della materia – qualora si ritenesse che con la affermazione sopra citata il giudicante avesse inteso applicare il principio informatore della materia – atteso che in tema di proprietà sono consentite le immissioni, se rientrino nel limite della normale tollerabilità e, dall’altro lato, è esclusa la responsabilità del proprietario per danni cagionati dalle azioni naturali, come quella del vento che trasporta le foglie, qualora siano rispettate le distanze legali e i rami non si protendano sul fondo altrui. 
I motivi, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente. 
Le censure sono infondate. 
Preliminarmente non possono essere condivise la argomentazioni formulate dal Procuratore Generale il quale, nel criticare la distinzione fra principi informatori e principi regolatori della materia accolta dalla giurisprudenza di legittimità, ha osservato che i primi non vivono di vita propria, identificandosi nei secondi, dei quali rappresentano semmai la ratio ispiratrice. 
Al riguardo, appare necessario un accenno alla ricostruzione storica della attuale disciplina.
La legge istitutiva del giudice di pace ha eliminato ogni riferimento ai principi regolatori della materia – introdotto dalla L. 30 luglio 1984, n. 399, art. 3, come limite dell’equità del conciliatore:la giurisprudenza formatasi in materia, e culminata nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 716 del 1999, è pervenuta alle conclusioni che l’equità del giudice di pace ha natura sostitutiva, non già correttiva o integrativa della regola di diritto, sicché questi non è tenuto a seguire i principi regolatori della materia ricavandoli in via di generalizzazione dalla norme specifiche dettate dal legislatore per disciplinare il rapporto dedotto in giudizio né ad individuare le norme giuridiche astrattamene applicabili, ma crea egli stesso la regola della decisione con un giudizio di tipo intuitivo fondato su valori preesistenti nella realtà sociale.
 
Tale interpretazione ha però provocato un intervento della Corte costituzionale la quale, con sentenza additiva n. 206 del 2004, applicabile al giudizio in corso, ha dichiarato l’illegittimità del capoverso dell’art. 113 cod. proc. civ., così come interpretato dalla giurisprudenza, nella parte in cui esclude che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia.
In particolare la Corte Costituzionale ha chiarito che il giudizio di equità non è non può essere un giudizio extra-giuridico, atteso che la sola funzione che alla giurisdizione di equità può riconoscersi, in un sistema caratterizzato dal principio di legalità a sua volta ancorato al principio di costituzionalità, nel quale la legge è dunque lo strumento principale di attuazione dei principi costituzionali, è quella di individuare l’eventuale regola di giudizio non scritta che, con riferimento al caso concreto, consenta una soluzione della controversia più adeguata alle caratteristiche specifiche della fattispecie concreta, alla stregua tuttavia dei medesimi principi cui si ispira la disciplina positiva: principi che non potrebbero essere posti in discussione dal giudicante, pena lo sconfinamento nell’arbitrio, attraverso una contrapposizione con le proprie categorie soggettive di equità e ragionevolezza.
 
Nell’attuazione della pronuncia di incostituzionalità i principi informatori della materia sono stati individuati da questa Corte (sent. 17 gennaio 2005, n. 743) nei principi ai quali il legislatore si ispira nel porre una determinata regola: questi differiscono dai principi regolatori della materia che vincolavano il giudice conciliatore poiché, mentre il conciliatore doveva osservare le regole fondamentali del rapporto traendoli dal complesso di norme preesistenti con le quali il legislatore lo aveva disciplinato, il giudice di pace non deve osservare una regola equitativa tratta dalla disciplina dettata in concreto, ma deve solo curare che essa non contrasti con i principi cui si è ispirato il legislatore nel dettare una determinata disciplina.
Il rispetto dei principi informatori non vincola perciò il giudice di pace all’osservanza di una regola ricavabile dal sistema ma costituisce unicamente un limite al giudizio di equità al fine di evitare qualsiasi sconfinamento nell’arbitrio.
 
Ciò premesso, la sentenza ha enunciato la regola equitativa in base alla quale ha deciso la controversia, ritenendo che “Il proprietario ha il sacrosanto diritto di tutelare il proprio fondo e la propria abitazione dai gravi danni, materiali e igienici, causati dalla convenuta e ad evitare lavori e spese per l’incuria della vicina confinante”: in proposito ha chiarito che l’attore è costretto a pulire le gronde del garage della sua abitazione nonché i tombini dell’acqua piovana dalle foglie che cadono dai rami della betulla della convenuta, che invadono la proprietà di esso attore.
In tal modo il Giudice di Pace, giustificando la scelta di allontanarsi dal diritto positivo, ha dato conto – alla stregua delle circostanze del caso concreto – delle ragioni per cui un determinato comportamento appariva meritevole di tutela rispetto alla valutazione data dall’ordinamento positivo (Cass. 171122/2006; 8620/2006; 2281/2006; 16254/2005)
 
Ciò posto, occorre innanzitutto osservare che qualora con il ricorso si denunci la violazione dei principi informatori della materia il ricorrente deve indicare il principio informatore violato dalla regola equitativa individuata dal giudice di pace (Cass. 284/2007): tale onere non è stato ottemperato dalla ricorrente, la quale si è limitata a richiamare una serie di norme, da cui dovrebbe trarsi la conseguenza della liceità della sua condotta.
In ogni caso, l’assunto è infondato.
In tema di proprietà immobiliare, la disciplina dei rapporti di vicinato, dettata allo scopo di evitare possibili conflitti al fine ad assicurare l’effettivo esercizio del diritto di ciascuno, è ispirata al principio informatore secondo cui l’esplicazione dei poteri di godimento ed utilizzazione della cosa incontra il limite rappresentato dalla necessità di non menomare la proprietà del vicino, il quale ha diritto, secondo la regola generale del neminem laedere, consacrata dall’art. 2043 cod. civ., ad essere risarcito del danno ingiusto.
 
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia l’omessa motivazione in ordine all’eccezione di difetto di legittimazione attiva del C. , nudo proprietario e non usufruttuario, essendosi il giudicante limitato ad affermare che trattasi di distinzione più apparente che reale, senza indicare a quale titolo la responsabilità venisse addebitata alla convenuta.
Il Giudice – osserva ancora la ricorrente – aveva accolto la domanda, ponendo a base della decisione, immotivatamente ed in violazione dei principi informatori in materia di onere della prova, le circostanze affermate dall’attore ma contestate dalla convenuta.
 La censura è infondata. 
Occorre chiarire che in tema di giudizio di equità, con il ricorso per cassazione avverso le decisioni del giudice di pace non possono essere denunziati il vizio di violazione o falsa applicazione di leggi ordinarie e di motivazione quando esso non integri gli estremi della motivazione inesistente o meramente apparente, che – secondo quanto già rilevato – certamente non ricorre nella specie. Il giudicante, nel respingere l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata in realtà con riferimento alla titolarità del diritto azionato, ha considerato correttamente che il nudo proprietario può agire per il risarcimento del danno arrecato alla cosa di sua proprietà: la distinzione fra nudo proprietario ed usufruttuario, infatti, opera nei rapporti interni ma non ha alcuna incidenza in ordine all’esperibilità dell’azione aquiliana nei confronti del terzo. 
La sentenza ha quindi ritenuto provate le circostanze dedotte dall’attore a fondamento della domanda, liquidando il risarcimento sulla base del preventivo prodotto: in tal modo ha ritenuto assolto l’onere probatorio incombente sull’attore, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ.: il mancato riferimento alle fonti della prova in relazione alle altre circostanze menzionate dalla ricorrente potrebbe configurare il vizio di motivazione insufficiente che, per quanto si è detto, non è deducibile nella presente sede. 
Non va adottata alcuna statuizione in ordine alla regolamentazione delle spese relative alla presente fase, non avendo l’intimato svolto attività difensiva. 

                                                                                      P.Q.M.
 

La Corte rigetta il ricorso.  

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