14.05.09 – Giudice di pace, blitz di Paolo De Fiore: «Non si può continuare così»
14.05.09 – Giudice di pace, blitz di Paolo De Fiore: «Non si può continuare così» Il presidente del Tribunale di Roma: «Decine di migliaia di fascicoli giacenti, ora mi auguro un’ispezione del ministero» ROMA (14 maggio) – «È chiaro che non si può continuare così. La situazione del Giudice di Pace rischia di diventare intollerabile». Il presidente del Tribunale di Roma, Paolo De Fiore, questa volta ha voluto «rendersi conto di persona». Martedì mattina zitto zitto è andato in via Teulada, ha visto, ha chiesto e ha verificato sul campo che le lamentele e la rabbia di migliaia di romani sono tutto tranne che campate per aria. «Bisogna fare qualcosa – insiste l’alto magistrato -Interverrò con il Ministero della Giustizia. Serve un impulso. È necessario che si sappia ai più alti livelli lo stato in cui versa la sezione civile di Roma. Mi auguro che ci sia un’ispezione ministeriale. Non per punire qualcuno. Ma perché si comprenda fino in fondo quello che sta accadendo e quello che potrebbe accadere». Lo sfacelo della sezione civile del Giudice di Pace è sotto gli occhi di chi vuole vedere da almeno due anni. Ma nonostante le denunce e gli esposti, da via Arenula, sede del Ministero di Grazia e Giustizia, guidato da Angelino Alfano, nulla si muove. Eppure gli allarmi, ormai, non provengono più esclusivamente da “semplici” cittadini: De Fiore, l’uomo al vertice di tutto il Tribunale di Roma, civile e penale, uno dei più alti magistrati in servizio nella Capitale, non è certo una persona che si fa impressionare da qualche fila. «Ma sono entrato in una stanza – racconta – e non nascondo di essere rimasto stupefatto anche io. Ho visto sacchi in cui giacciono decine di migliaia di ricorsi mandati dalla gente per posta che non è stato neppure possibile iscrivere a ruolo. Bisogna trovare una soluzione, perché, con il personale che c’è ora, è praticamente impossibile trovarne una». La stanza in cui è entrato De Fiore esiste e si riempie senza sosta da mesi. È non soltanto lo specchio dell’agonia del Giudice di Pace sezione civile ma la premessa di ciò che potrebbe accadere. Gli uffici di via Teulada, nel 1996, quando nacque la cosiddetta “giustizia minore”, trattavano 50 mila cause l’anno. Gli impiegati allora erano 100. Il personale, oggi, è a quota 120. Ma l’anno scorso i ricorsi, quelli iscritti e quelli rimasti nei sacchi della posta, sono arrivati a 216.000. Per chi ama le statistiche, si può metterla così: il numero degli amministrativi è cresciuto del venti per cento, quello delle pratiche del quattrocento per cento. Non serve un Pico della Mirandola per capire che la macchina organizzativa di via Teulada, con le forze che ha, non ha alcuna possibilità di sfuggire alla paralisi. Ogni giorno, soltanto per posta, arrivano 300 ricorsi. Gli impiegati, dopo aver assorbito il lavoro agli sportelli, non riescono a smaltirne più di cento. Attualmente si sta cercando di iscrivere a ruolo i ricorsi arrivati nell’estate del 2008. A fine anno si potrebbe arrivare a un arretrato di oltre centomila pratiche. Gli avvocati, De Fiore ne è cosciente, sono sul piede di guerra. «Migliaia di cittadini – dice uno di loro – hanno fatto ricorso contro multe e cartelle esattoriali pensando di bloccare così i procedimenti esecutivi dell’esattoria, cioè la Gerit. Ma se questo non sarà possibile per lo stato in cui versa il Giudice di Pace, è chiaro che si studierà l’ipotesi di una valanga di denunce per omissione di atti di uffici contro i vertici di via Teulada e tutti coloro che sono chiamati a vigilare». «Giorni fa – dice De Fiore – ho ricevuto una dettagliata relazione sullo stato degli uffici di via Teulada dal coordinatore dei giudici (Guido Mailler, ndr) e dalla dirigente amministrativa (Anna Maria Di Bartolomeo, ndr). Il Ministero sostiene che al personale mancano solo cinque unità. Ma è evidente che la pianta organica è sottostimata e non tiene conto del fatto che le esigenze della cosiddetta ”giustizia minore” sono enormemente aumentate nel corso degli anni. Il fenomeno, è chiaro, nasce da una degenerazione dell’attività della pubblica amministrazione. La scelta di fare multe a pioggia viene di fatto scaricata sulla Giustizia. Soluzioni? O si rafforza, e di molto, il personale, oppure si impone ai cittadini un contributo sulle opposizioni in modo da scoraggiare quelle minime o palesemente infondate. La terza strada è fare una sorta di “amnistia” sulle sanzioni pendenti. Il costo per l’Erario, in fondo, sarebbe di poco conto, visto che circa il novanta per cento dei ricorsi viene accolto. Non sta a me decidere: ma bisogna che qualcuno, prima della paralisi, si muova». Fonte: il messaggero.it |