Corte di Cassazione Sezioni Unite Civili n° 4464/09 – registro protesti – il debitore che paga ha diritto alla cancellazione dal registro -25.02.09.

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Importante sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite, la quale dopo aver confermato la giurisdizione del Giudice ordinario, nel procedimento introitato per ottenere la cancellazione dal registro informatico dei protesti, in caso di mancato provvedimento da parte dell’Autorità Amministrativa, ha precisato che “per effetto dell’art. 2 della l. 235/2000, il soggetto che ha provveduto al pagamento della cambiale o del vaglia cambiario protestati è titolare di un diritto soggettivo pieno ed incondizionato – azionabile dinanzi al giudice ordinario – ad ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro informatico dei protesti” La Corte ha, inoltre, specificato che chi richiede la cancellazione deve necessariamente fornire prova del pagamento con l’esibizione del titolo quietanzato entro il termine di 12 mesi dalla levata del protesto.

                                                       CORTE DI CASSAZIONE   

                                                           Sezioni Unite Civili
   

                                             Sentenza 25 febbraio 2009, n. 4464
        

                                                  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
   

Il giudice di pace di Lecce, con sentenza del 2 febbraio 2004, in accoglimento del ricorso proposto da Letizia D.L. contro il provvedimento del 23 novembre 2002 del Presidente della Camera di Commercio di Lecce, dispose la cancellazione, dal registro informatico dei protesti, del nominativo di costei per intervenuto pagamento delle somme portate da effetti protestati.
 
L’impugnazione della Camera di Commercio è stata respinta dal Tribunale di Lecce, con sentenza del 19 ottobre 2004, che ha rilevato: a) che è proprio la l. 235/2000 a prevedere la cancellazione del debitore che ha pagato dal registro protesti sulla base dell’accertamento della sola regolarità dell’adempimento; b) che il ricorso al giudice di pace previsto da detta legge non costituisce un giudizio di impugnazione del provvedimento amministrativo di reiezione dell’istanza di cancellazione, bensì introduce un procedimento giurisdizionale diretto ad accertare ed – ove ricorra il menzionato presupposto – ad attuare il diritto dell’istante di ottenere la cancellazione del protesto nei casi di mancato riconoscimento di esso da parte del dirigente dell’ufficio protesti. Per la cassazione della sentenza la Camera di Commercio ha proposto ricorso per due motivi; cui resiste la D.L. con controricorso.   

                                                      MOTIVI DELLA DECISIONE
   

Con il primo motivo del ricorso, la Camera di Commercio, deducendo violazione degli art. 102 Cost., 4 legge abol. cont. del 1865, 2 l. 235 del 2000, censura la sentenza impugnata per aver confermato il provvedimento del giudice di pace che aveva annullato e/o modificato il proprio provvedimento di rigetto dell’istanza di cancellazione del nominativo della D.L. dal registro dei protesti, senza considerare il divieto posto dalla menzionata legge del 1865 al giudice ordinario di ingerenza nell’attività dell’amministrazione, perciò da esso non modificabile. E, d’altra parte una tale facoltà non gli è concessa neppure dalla l. 235/2000, che altrimenti si incorrerebbe nella violazione del principio di separazione dei poteri sancito dalla Carta costituzionale.
 
Il motivo è infondato. 
Le Sezioni Unite devono ribadire, anzitutto, che il ricorso per cassazione ha ad oggetto esclusivamente vizi della sentenza di appello, e non quelli della decisione di primo grado, che rimane assorbita in quella di appello; per cui devono ritenersi inammissibili tutte le considerazioni svolte dalla Camera di Commercio contro la sentenza del giudice di pace che avrebbe annullato o modificato il provvedimento della ricorrente, incorrendo in una palese violazione del divieto di cui all’art. 4 della l. 2248 del 1865 All. E; e deve essere esaminata soltanto la censura diretta contro la sentenza di appello laddove ha confermato quella di primo grado, riferendo che si era limitata a disporre la cancellazione del nominativo della controparte dal registro informatico dei protesti. 
Detta statuizione resiste all’addebito dell’ente ricorrente di aver violato il principio di riparto delle giurisdizioni sancito dall’art. 102 Cost. invadendo la giurisdizione del giudice amministrativo, cui soltanto era consentito di annullare il provvedimento di diniego di cancellazione del nominativo della controparte dal bollettino dei protesti: posto che costituisce ius receptum che la giurisdizione si determina sulla base della domanda (art. 386 c.p.c.); e che, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva addotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo (Cass. sez. un. 6421/2005; 16218/2001; 192/2001). 
Ora nel caso concreto la situazione soggettiva è espressamente individuata dall’art. 4 della l. 77 del 1955, come sostituito dall’art. 2 della l. 235 del 2000, per il quale (1° comma) “Il debitore che, entro il termine di dodici mesi dalla levata del protesto, esegua il pagamento della cambiale o del vaglia cambiario protestati, unitamente agli interessi maturati come dovuti ed alle spese per il protesto, per il precetto e per il processo esecutivo eventualmente promosso, ha diritto di ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro informatico di cui all’articolo 3-bis del decreto-legge 18 settembre 1995, n. 381, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 novembre 1995, n. 480”. 
Proprio per aver attribuito consistenza di diritto soggettivo perfetto alla posizione del richiedente la cancellazione, che ha eseguito il pagamento suddetto, il successivo 4° comma ne devolve del pari esplicitamente la giurisdizione “in caso di reiezione dell’istanza o di mancata decisione sulla stessa, da parte del responsabile dirigente dell’ufficio protesti, entro il termine di cui al comma 3, … all’autorità giudiziaria ordinaria”; indicando nel “giudice di pace del luogo in cui risiede il debitore protestato” il giudice competente a conoscere del ricorso dell’interessato. Per cui, siccome la D.L. aveva richiesto alla Camera di Commercio la cancellazione del suo nominativo dal bollettino informatico dei protesti, assumendo di aver eseguito il pagamento previsto dall’art. 2 della l. 235/2000, e la Camera di Commercio con provvedimento 629/2002 aveva respinto la domanda, la giurisdizione a conoscere del ricorso dell’interessata contro questo provvedimento, apparteneva, in base al ricordato 4° comma di detta norma proprio al Giudice di pace di Bari; che dunque correttamente il Tribunale ha confermato a fronte dell’inequivoco tenore della disposizione suddetta. 
Il divieto, poi, di pronunciare sentenze costitutive o di condanna nei confronti della pubblica amministrazione, ai sensi e nei casi previsti dall’art. 4 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, configura una limitazione meramente interna ai poteri giurisdizionali del giudice suddetto: riferendosi a ciò che è possibile chiedergli (petitum) allorché parte in causa sia la P.A., ed introducendo una questione riguardante non la giurisdizione in senso stretto, ma l’applicazione di norme che regolano le modalità del suo esercizio. Sicché la norma stabilisce, in definitiva, quali azioni, in presenza (di una situazione di diritto soggettivo e) della giurisdizione dell’A.G.O., nonché di provvedimenti amministrativi, siano proponibili nei confronti della P.A., ma non può valere ad escluderne la giurisdizione per il fatto che sia stato richiesto anche l’annullamento dell’atto amministrativo; ed, in tale ipotesi, il divieto per quel giudice di annullare detto provvedimento si traduce di regola nell’obbligo di astenersi dall’emettere una siffatta pronuncia, nonché di provvedere alla sola disapplicazione dell’atto amministrativo nel caso concreto, in quanto lesivo del diritto soggettivo accertato. Sennonché la Corte Costituzionale fin dalle lontane sentenze 32/1970 e 161/1971, ha reinterpretato il divieto in questione al lume di fondamentali precetti della Costituzione (artt. 24, 97, 103, 113), negando che la intangibilità dell’atto amministrativo tragga origine dal principio costituzionalizzato della divisione dei poteri; ed affermando che l’art. 113 Cost. demanda, invece, al legislatore ordinario di determinare quali organi possano annullarlo. E proprio negli stessi anni il legislatore ha mostrato il chiaro intento di voler includere tra di essi, in determinate materie anche il giudice ordinario (cfr. artt. 18, 28 e 37 l. 300/1970; 11, 16 e 17 d.P.R. 1035/1972), attribuendogli il potere di emettere pronunce ripristinatorie o inibitorie e/o di provvedere direttamente ad annullare in tutto o in parte ovvero a modificare il provvedimento amministrativo: come dimostra esemplificativamente proprio l’art. 23 della l. 689/1981 ricordato dalla Camera di commercio. 
Per cui, seppure è rimasto fermo, in linea generale, il divieto per il giudice ordinario di usurpare l’esercizio di una potestà pubblica, nonché di sostituirsi all’amministrazione nell’emanare un atto amministrativo ovvero nell’eliminarlo, non è possibile escludere che la legge in determinati settori, o con riferimento a specifiche attività gli attribuisca il compito di attuare la tutela giurisdizionale piena e completa del diritto soggettivo leso dal provvedimento amministrativo, attraverso non soltanto la disapplicazione, ma anche la sua diretta caducazione, di regola riservata al giudice amministrativo. E proprio nell’ambito di queste fattispecie rientra la normativa dell’art. 2 della l. 235/2000, la quale ha attribuito, da un lato, al soggetto che ha provveduto al pagamento della cambiale o del vaglia cambiario protestati il diritto soggettivo pieno ed incondizionato ad ottenere la cancellazione del proprio nome dal registro informatico dei protesti. E, dall’altro per conseguire siffatto risultato (“la cancellazione del proprio nome”) ha previsto dapprima un procedimento amministrativo di competenza del responsabile dirigente dell’ufficio protesti, senza riservargli alcuna potestà amministrativa né la volontà di modificare unilateralmente, a seguito dell’apprezzamento dell’interesse pubblico attribuito all’ente, la situazione giuridica soggettiva dell’interessato. Come rilevato, infatti, da queste Sezioni Unite nella fattispecie similare di sospensione o divieto della pubblicazione del protesto, l’attività della Camera di Commercio consiste in una mera operazione materiale di verifica della “regolarità dell’adempimento o della sussistenza della illegittimità o dell’errore del protesto”; che, senza alcun potere discrezionale, ha come risultato nel caso, la cancellazione del nominativo, risolvendosi, quindi, in comportamenti che rientrano nella categoria degli atti materiali posti in essere all’infuori dì una potestà amministrativa (Cass. sez. un. 1970/1995; 8983/1990; 1612/1989). 
Pertanto, nell’ipotesi “di reiezione dell’istanza o di mancata decisione sulla stessa”, il compito di realizzare il medesimo effetto disposto direttamente dalla legge è stato devoluto al giudice ordinario, che per conseguirlo non può limitarsi a disapplicare il provvedimento di reiezione della Camera di Commercio, ma deve esercitare il potere-dovere di garantire al richiedente la tutela piena predisposta dal legislatore, consistente proprio nella diretta cancellazione del nominativo dal menzionato registro, ormai divenuta priva di causa: senza perciò incorrere nel divieto di cui all’art. 4 della legge abol. cont. 
Con il secondo motivo, la Camera di Commercio, deducendo violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché difetto e contraddittorietà di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere dapprima giustificato il mancato accoglimento dell’istanza della D.L., da parte di esso ente, per poi provvedere alla cancellazione del nominativo di costei senza considerare che la l. 235/2000 richiede per eseguirla l’esibizione del titolo quietanzato e dell’atto di protesto o della dichiarazione di rifiuto del pagamento; che detti titoli non erano stati esibiti dalla controparte al responsabile dirigente dell’ufficio, cui pertanto era inibita la cancellazione richiesta da quest’ultima; e che al giudice era consentito soltanto di verificare la correttezza dell’operato della Camera di commercio, ma non anche di raccogliere prove tardive che avrebbero dovuto, invece, essere offerte al momento di presentazione dell’istanza in via amministrativa. 
Questa doglianza è fondata. 
È vero, infatti, che il ricorso al giudice di pace non è configurato dalla norma come un giudizio di impugnazione dell’atto amministrativo di reiezione dell’istanza dell’interessato da parte del dirigente suddetto (ovvero del suo rifiuto a provvedere su di essa), contro i quali costui è obbligato a muovere le necessarie contestazioni, ed a far valere i vizi del provvedimento; e che deve escludersi che la cognizione del giudice suddetto sia limitata al controllo delle dedotte ragioni di illegittimità del provvedimento medesimo: come è peculiare, invece, della giurisdizione generale di legittimità devoluta al giudice amministrativo. Ed è del pari esatto che il ricorso in questione introduce un ordinario giudizio di cognizione, pienamente autonomo rispetto alla pregressa fase amministrativa, nel quale il giudice di merito deve procedere al concreto accertamento “del diritto di ottenere la cancellazione” fatto valere dall’interessato, applicando ed osservando esclusivamente “le norme di cui agli articoli da 414 a 438 del codice di procedura civile” espressamente richiamate dal 4° comma dell’art. 4 della legge: e quindi avvalendosi dei poteri istruttori concessi dagli art. 420 e 421 c.p.c. Ma in questo giudizio il giudice di pace è tenuto all’accertamento proprio del presupposto, cui la norma ha subordinato il diritto alla cancellazione, costituito, come già evidenziato dal Tribunale, dall’eseguito pagamento della cambiale o del vaglia cambiario nel termine indicato dalla norma; ed il legislatore ha prestabilito al riguardo quale sia la prova che il debitore è obbligato a fornire per dimostrare tale avvenuto adempimento nel termine prescritto e così ottenere la cancellazione, indicandola nella produzione “del titolo quietanzato e dell’atto di protesto o della dichiarazione di rifiuto del pagamento, nonché della quietanza relativa al versamento del diritto di cui al comma 5”.
Così come peraltro avviene in tema di emissione di assegno bancario senza provvista, in cui la norma dell’art. 8, comma terzo, della l. 15 dicembre 1990, n. 386, come sostituito dall’art. 33 del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, dispone che la prova del pagamento entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione dell’assegno deve essere fornita al pubblico ufficiale tenuto alla presentazione del titolo mediante quietanza a firma autenticata del portatore ovvero mediante attestazione dell’istituto di credito presso il quale è stato effettuato il deposito vincolato dell’importo dovuto: senza ammettere equipollenti.
 
Anche la l. 235/2000 dispone che la prova del pagamento della cambiale (o del vaglia cambiario) deve essere allegata (“A tal fine l’interessato presenta…”) nell’istanza rivolta al Presidente della Camera di Commercio e che la medesima prova deve essere offerta al giudice di pace nell’ipotesi in cui, malgrado la presentazione, il Presidente suddetto abbia respinto l’istanza del debitore, ovvero abbia omesso di decidere su di essa; ed a maggior ragione, quindi, ove il provvedimento di rigetto sia causato dal fatto che la prova documentale del deposito del titolo quietanzato prima della scadenza del termine di 12 mesi indicato dalla norma, unitamente al protesto, non siano stati allegati all’istanza di cancellazione rivolta alla Camera di Commercio: proprio per l’autonoma natura cognitoria del giudizio davanti al giudice di pace che non può arrestarsi al mero controllo dei documenti già prodotti nella fase amministrativa. 
Ma ciò non significa che detto giudice possa ammettere e ritenere sufficiente una prova diversa da quella espressamente prevista dalla legge anche perché la scelta dell’ammissibilità e dei limiti dei singoli mezzi di prova è rimessa esclusivamente alla discrezionalità del legislatore (Cass. 27140/2007; 5895/2007; 18190/2006): come del resto dimostra lo stesso codice civile che già prevede l’obbligo di provare per iscritto e con data certa determinati fatti o rapporti (art. 1659, 1846, 1888, 1919, ecc.). 
Pertanto, nel caso, la prova dell’avvenuto pagamento doveva essere fornita dalla D.L. con il deposito davanti al giudice di pace del titolo quietanzato entro il termine di 12 mesi dalla levata del protesto, nonché dell’ atto di protesto; e la rigida formulazione della norma non ammetteva equipollenti esigendo, al fine di evitare accordi fraudolenti tra i soggetti privati dell’obbligazione cartolare, la certezza non solo dell’avvenuto pagamento, ma anche della data dello stesso che viene garantita con l’autenticazione della quietanza nonché con il deposito del titolo di credito (comprovante altresì la sua definitiva sottrazione alla libera circolazione sul mercato). E quindi escludendo l’ammissione di una prova testimoniale, del genere di quella assunta dal giudice di pace, inidonea, per espressa disposizione di legge, a fornire la dimostrazione di una circostanza, quale appunto l’avvenuto pagamento e la sua data, suscettibile, invece, di essere offerta soltanto attraverso la quietanza anzidetta: sul presupposto, ricavato dalla norma, della necessaria corrispondenza tra la data del pagamento e la data della quietanza. 
Cassata, pertanto la sentenza impugnata che ha ordinato la cancellazione del nominativo della debitrice in base all’esito dell’inammissibile prova testimoniale offerta dalla debitrice, e non essendo necessari ulteriori accertamenti, il Collegio deve decidere nel merito e respingere le originarie domande della D.L.: avendo la stessa riconosciuto di non aver fornito la prova del pagamento della cambiale con le modalità e nel termine previsti dalla menzionata l. 235/2000. 
La novità delle questioni trattate induce il Collegio a dichiarare compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.   

                                                                    P.Q.M.
   

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.
  

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