17.09.2010. – Conciliazione, è tutto da rifare – il Consiglio di Stato rimanda alla Giustizia lo schema di decreto su mediazione e formatori – carenze di coordinamento tra nuove e vecchie normative.
Regolamento sulla conciliazione da riscrivere. Il Consiglio di stato ha infatti bocciato in toto lo schema che disciplina la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori, messo a punto dal ministero della giustizia in attuazione del dlgs n. 28/2010. In pratica, la sezione consultiva per gli atti normativi (n. 3640/2010), nell’adunanza del 26 agosto scorso, ha rinviato l’espressione del parere richiesto da via Arenula «in attesa degli incombenti istruttori disposti», rilevando una lunga serie di problematicità e carenze contenute nello schema di regolamento. Vediamo quali. Anzitutto, il Consiglio di stato fa riferimento al contesto in cui si inseriscono la normativa legislativa e quella regolamentare di attuazione, che trovano il loro più diretto precedente nel dlgs n. 5/2003 (art. 38) e nei dm di attuazione n. 222 (per il registro) e n. 223 (per le indennità) del 23 luglio 2004. Ebbene, secondo palazzo Spada «pur essendo la nuova e la vecchia disciplina per la massima parte coincidenti, lo schema di regolamento trasmesso si discosta in più punti dai regolamenti precedenti. Su tutto ciò tace la relazione trasmessa dall’amministrazione», che non si fa carico dei rapporti fra le due discipline, delle esperienze maturate in precedenza e dei motivi che hanno indotto a introdurre «modifiche non marginali». In più, il ministero, secondo il Consiglio di stato, non fornisce indicazioni e chiarimenti per quel che riguarda la coerenza tra la normativa primaria e quella secondaria. A queste carenze si aggiunge la mancata effettuazione della verifica di impatto sia della regolazione precedente sia dell’analisi di impatto della nuova, «imposte entrambe dalla legge e dai conseguenti regolamenti di attuazione. Tali carenze istruttorie», afferma il Cds, «in alcun modo giustificate specie nel caso in esame, impediscono anche sul piano formale l’espressione del parere». Scendendo poi all’esame dello schema, palazzo Spada rileva numerose problematicità. Riguardo, anzitutto, la definizione di enti e organismi deputati a gestire il procedimento di mediazione: «il regolamento», si legge nel parere, «nelle definizioni identifica gli enti come organismi al pari delle loro articolazioni senza ulteriori specificazioni. Contraddittoriamente, poi, nella disciplina delle iscrizioni, il termine organismo è riferito, a quanto sembra, a quest’ultima fattispecie. Nel prosieguo dello schema, infine, si parla solo di organismi costituiti da enti». Il regolamento precedente, invece, prevedeva l’iscrizione degli organismi e non degli enti e secondo il Consiglio di stato è necessario un coordinamento delle disposizioni in questione. Va specificato, poi, se si tratti di soggetti pre-esistenti o costituiti ad hoc, se gli organismi sono articolazioni interne di enti oppure se siano gli organismi stessi a essere entificati, definendo, nell’uno o nell’altro caso, il rapporto con l’ente stesso dal punto di vista strutturale e finanziario o i requisiti strutturali e finanziari minimi. Rilievi importanti, infine, anche per quanto riguarda i formatori della mediazione. Per il Cds, il ministero deve chiarire il perché siano state escluse strutture di formazione che facciano capo a persone fisiche o a figure soggettive di personalità giuridica. È opportuno approfondire, inoltre, la compatibilità della funzione di mediatore con quella di pubblico dipendente. E, infine, i requisiti professionali dei formatori, secondo palazzo Spada, «appaiono talmente specializzati da creare una sorta di riserva per un numero molto ristretto di soggetti. Cogliendo l’occasione degli approfondimenti richiesti», conclude il Consiglio di stato, «si proceda anche a una accurata rilettura del testo per adeguarlo alla nota circolare 2 maggio 2001 della presidenza del consiglio dei ministri (si pensi fra l’altro all’abuso del verbo servile «dovere»)». Gabriele Ventura Fonte: ItaliaOggi |